Opere d'arte al Convento di Montecarlo

L'annessa chiesa di S. Francesco, che la tradizione dice fondata nel 1424 a S. Bernardino (l'aspetto attuale è modificato da rimaneggiamenti e restauri), ha ospitato al proprio interno opere d'arte di valore assoluto: alla parete destra una delicata bellissima Annunciazione dipinta dal Beato Angelico, forse del 1440; alla parete sinistra un'Incoronazione della Vergine e Santi di Neri di Bicci; frontalmente copia di un'Adorazione del Bambino del Ghirlandaio..

Annunciazione - BEATO ANGELICO

Una delle tre famose Annunciazioni su tavola realizzate dal Beato Angelico, attualmente ospitata nel Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno, è stata conservata per molto tempo nella chiesa del Convento francescano di Montecarlo. Fu eseguita tra il 1432 e il 1435 e sembra fosse destinata ad altro luogo. Nel 1944 l’opera d’arte rischiò di venire trafugata dai nazisti su commissione del gerarca Hermann Göring che la voleva per la propria collezione personale, ma venne fortunatamente nascosta il giorno prima dell’arrivo dei tedeschi grazie ad una soffiata.

L’opera, capolavoro assoluto del Rinascimento, presenta la scena ambientata sotto un portico dove Maria è mostrata per niente turbata, quasi serena nell’accogliere il proprio destino e da cui s’intravede la sua abitazione con una piccola finestra ed una semplice panca, arredata con una sobrietà volta ad esaltare la dignità del personaggio.

Nella parte sinistra dell’opera, si vedono l’ Hortus Conclusus, ovvero il giardino recintato allusivo alla verginità di  Maria, popolato da varie piante e fiori dipinti con grande cura, fra cui si vede la palma che allude al martirio di Gesù e, in alto sulla collina, la Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre a simboleggiare la rottura tra l’uomo e Dio, ricomposta proprio dall’ accettazione da parte Maria del proprio destino.

Infine nella Predella sono dipinte cinque scene della vita della Vergine.

Incoronazione della Vergine - NERI DI BICCI

Antico dipinto su tavola un tempo nella chiesa di San Francesco a Montecarlo, attualmente conservato presso il Museo Conventuale della Verna.  Al centro di questa assoluta opera d’arte Gesù incorona Maria, seduta sulle nubi vicino a lui, a mani giunte e sguardo devotamente abbassato, all’interno di un disco dorato circondato da cherubini. Altri gruppi di angeli musicanti si trovano in basso e negli angoli superiori. Ai lati una serie di santi: a sinistra Caterina d’Alessandria con la ruota dentata, Giovanni Battista vestito di pelli con la croce astile e il cartiglio, una monaca, forse Chiara, con un libro, Bernardino da Siena fondatore del convento, che mostra il cristogramma e Francesco con le stigmate e la ferita al costato; a destra Maria Maddalena con la pisside tra dita, Lorenzo con la graticola, un francescano appoggiato ad un bastone a forma di tao, Ludovico di Tolosa vestito con eleganti abiti vescovili e Antonio da Padova con la fiammella in mano.

Nella predella, suddivisa in cinque scene, sono narrati alcuni episodi della vita di Maria (Incontro tra Gioacchino e Anna, Natività, Sposalizio, Annunciazione e Visitazione)

Adorazione dei Pastori - GHIRLANDAIO

Dipinto a tempera su tavola conservato sull’altare della cappella Sassetti nella Basilica di Santa Trinita a Firenze di cui una copia fu donata al Convento di Montecarlo dalla Soprintendenza ai Monumenti al parroco Valentino Mondanelli negli anni trenta; fu rubata decenni più tardi al parroco Turchetti. Per portarla via i ladri utilizzarono il furgone stesso dei frati che fu trovato abbandonato in campagna giorni dopo, ma della copia ne erano state perse le tracce (vedi articolo del quotidiano La Nazione).

Domenico Ghirlandaio dipinse questa raffinata Adorazione dei pastori nel 1485, come attesta l’anno, in numeri romani, che il pittore ha posto a decorare uno dei due capitelli corinzi che sorreggono il tetto della capanna sotto cui si svolge la scena. L’opera fu commissionata all’artista dal banchiere fiorentino Francesco Sassetti, che lo aveva incaricato anche di realizzare gli affreschi della cappella di famiglia nella chiesa di Santa Trinita a Firenze: questa pala completava il ciclo, e ancora oggi la si può ammirare nella sua collocazione originaria.

Nella composizione, quadrata, oltre agli elementi tipici dell’iconografia dell’adorazione dei pastori, notiamo diverse vestigia dell’antichità: in lontananza vediamo un arco di trionfo, come già anticipato la struttura della capanna è retta da due colonne corinzie, e la mangiatoia del bue e dell’asinello è ricavata da un antico sarcofago romano. Su quest’ultimo compare un’iscrizione che recita Ensa cadens. Solymo. Pompei Fulvi[us] Augur Numen. Ait. Quae me conteg[it] Urna Dabit e cioè “mentre Fulvio, augure di Pompeo, cadeva sotto i colpi di spada a Gerusalemme, disse ‘l’urna che mi contiene farà nascere un dio'”, chiara allusione alla nascita di Cristo.

Da notare, inoltre, il gesto di san Giuseppe, che osserva in lontananza il corteo che sta sopraggiungendo. Il Ghirlandaio dedica una elevata attenzione ai dettagli, e in questo si percepisce nettamente l’influsso della pittura fiamminga: in particolare, l’opera ha qualche debito nei confronti del celebre Trittico Portinari di Hugo van der Goes, oggi conservato agli Uffizi ma che fu realizzato per i Portinari di Firenze (e fu un’opera di eccezionale importanza per tutti gli artisti fiorentini che volevano studiare l’arte fiamminga). L’opera di van der Goes raffigurava, al centro, proprio un’adorazione dei pastori. Di ispirazione fiamminga è anche il paesaggio che si intravede sullo sfondo.

Il primo pastore, quello coi capelli lunghi che si inginocchia e mostra il Bambino, potrebbe essere un autoritratto dello stesso Ghirlandaio. L’opera dell’artista fiorentino conobbe un notevole successo: fu copiata e studiata da molti artisti e ottenne anche le lodi di Vasari, il quale, nelle sue Vite, scrisse che il Ghirlandaio aveva realizzato “una natività di Cristo da far maravigliare ogni persona intelligente, dove ritrasse se medesimo e fece alcune teste di pastori che sono tenute cosa divina”.

(da Finestre sull’Arte – 20 dicembre 2014)